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    Sei qui:Home»Progettazione»UE Digital Product Passport: ostacolo o opportunità per il business?

    UE Digital Product Passport: ostacolo o opportunità per il business?

    By Redazione BitMAT12/12/20244 Mins Read
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    Paolo Delnevo, Vice President PTC Southern Europe, ci parla dell’introduzione nell’Unione Europea del DPP (Passaporto Digitale di Prodotto) che verrà esteso a tutte le attività industriali entro il 2030

    Passaporto digitale

    Con l’imminente entrata in vigore del Passaporto Digitale di Prodotto (DPP, Digital Product Passport), l’UE sta introducendo ulteriori requisiti per le aziende manifatturiere europee in tema di sostenibilità e trasparenza. Preparandosi per tempo, questa può rivelarsi un’opportunità d’oro per rinforzare i legami con i propri clienti e orientare il proprio business verso un futuro sempre più guidato dai dati.

    Che cos’è il Digital Product Passport (DPP)?

    Mentre oggi molte aziende sono concentrate sullo scope 2 – ovvero le emissioni indirette di CO2 legate alla produzione di elettricità, vapore o calore – l’UE sta mettendo in campo un’altra importante iniziativa che, nel suo complesso, sortirà un impatto almeno pari a quello delle normative sulla rendicontazione ESG: il Digital Product Passport (DPP).

    Il Passaporto Digitale di Prodotto fa parte di una serie di iniziative che la UE sta promuovendo in tema di economia circolare e apporterà dei sensibili cambiamenti nelle modalità con cui i costruttori e i subfornitori devono gestire i dati e la progettazione dei prodotti.

    I produttori di batterie saranno i primi ad adottare questo nuovo passaporto digitale – presumibilmente entro il 2027. Entro il 2030, tuttavia, l’introduzione del DPP interesserà ogni attività industriale europea: una vera e propria piccola rivoluzione. Per questo motivo è necessario che le aziende non si facciano cogliere impreparate.

    Ciascuno è responsabile di quello che produce

    L’adozione del Passaporto Digitale di Prodotto è parte delle politiche che l’Europa ha varato in tema di Green Deal, che mirano a fare dell’Europa il primo continente a neutralità carbonica entro il 2050. Una visione ambiziosa, messa alla prova dal fatto che ogni cittadino europeo genera in media 4,8 tonnellate di rifiuti all’anno.

    L’obiettivo del DPP è quello di rendere il produttore di un determinato prodotto responsabile del suo recupero a fine vita. Per questo motivo, il passaporto seguirà il prodotto per tutto il suo ciclo di vita, raccogliendo dati su riparazioni, reclami, attività di ricambistica e altro.

    Tutto ciò implica una piena responsabilità dei produttori, alla quale non potranno più sottrarsi una volta che il prodotto viene venduto, poiché anche tutti coloro che hanno concorso nella catena della fornitura saranno chiamati a rispondere per gli specifici singoli componenti utilizzati.

    Un esercizio utile per molti

    È fuor di dubbio che per le aziende l’implementazione del DPP comporterà dei costi. Tuttavia, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, se le aziende non si faranno cogliere alla sprovvista e si prepareranno per tempo, i benefici che ne deriveranno saranno di gran lunga superiori all’impatto causato dalle difficoltà da superare. È per questo che le aziende devono farsi parte attiva, ovvero guardare fin da subito con favore al Digital Product Passport, anziché opporvisi.

    Innanzitutto, ciò spingerà le aziende ad analizzare, e quasi sicuramente a migliorare, le forniture delle materie prime, massimizzandone il valore: questo, per molte realtà, sarà senz’altro un esercizio prezioso.

    In secondo luogo, la normativa accelererà la trasformazione digitale di molte aziende, poiché saranno costrette a considerare come raccogliere, archiviare e gestire i dati relativi ai propri prodotti in formato digitale.

    In terzo luogo – e questo è forse il punto più importante – il DPP obbligherà le aziende manifatturiere a progettare i prodotti con una logica più orientata alla sostenibilità e alla circolarità: ad esempio sviluppando prodotti più durevoli, più semplici da smontare e quindi da dismettere per recuperare i materiali preziosi, oppure utilizzando materiali più sostenibili e rispettosi delle risorse.

    Tutto ciò aprirà la strada a nuovi modelli di business, con ricavi che, ad esempio, cresceranno in relazione alle attività di manutenzione e assistenza, e costi di produzione che potranno diminuire.

    Nulla accade per caso

    Se le aziende vorranno mantenere il loro business competitivo e sano anche dopo il 2030, è fondamentale che non nascondano la testa sotto la sabbia in attesa degli eventi.

    Sarà necessario che gli OEM e tutti i fornitori che concorrono alla realizzazione di un bene inizino a progettare i loro prodotti adottando un approccio modulare e orientato al riutilizzo. Sarà altresì indispensabile digitalizzare i dati relativi non solo ai prodotti ma anche ai processi, al fine di utilizzare strumenti avanzati che, come l’intelligenza artificiale e le simulazioni, permettano di ottimizzare design e metodi di produzione.

    Il messaggio è chiaro: è opportuno attivarsi fin da subito, anche se già impegnati in altre attività, ad esempio la redazione del bilancio ESG. Le aziende, se vorranno mantenere la propria competitività e redditività, dopo il 2030 non potranno di certo continuare ad adottare gli stessi paradigmi operativi e gestionali datati 2020.

    Articolo a cura di Paolo Delnevo, Vice President  PTC Southern Europe

    Digital Product Passport PTC. progettazione sostenibilità e trasparenza Unione Europea
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    Redazione BitMAT
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